Nino Piazza

La mostra che Nino Piazza – “artista vero, sor­do al rumore della moda volgare e facile” - pre­senta a Montechiarugolo nei locali del Palazzo Civico porta come titolo “Visitazione”, un ter­mine che ci predispone ad un incontro alto, attinente alla categoria dello spirito, e i luoghi che si visitano sono quelli del mito, quelli della poesia, quelli dell' anima: una realtà carsica che scorre segreta ed emerge dopo un lungo medi­tato lavorio interiore nello stupore onirico di un rarefatto incanto.

“Sulla pelle ti sia il vento”, “Rio delle favole”, “Saliva nel giorno alla fonte”, “Venti passi di umide nubi”, “Negli occhi per dire ancora”: leggendo questi titoli ci si ac­corge come i dipinti e le sculture nascano dalla necessità di esprimere pensieri, umori, aneliti, sogni, speranze che scaturiscono dal profondo dell'animo e lentamente si fanno materia, co­lore, forma.

Nelle tele il colore si aggruma in modo sommes­so acquisendo lentamente una vitalità lumine­scente: il blu richiama l'immensità dei cieli e degli abissi marini; l'oro scandisce la sacralità dell'immagine-icona; il bruno conferisce con­cretezza fisica a tutti gli elementi narrativi. E le forme si mostrano con accenti pacati, creando scenari magici e silenti in cui compaiono spesso un cervo e un albero, due figure archetipe ca­riche di significati allegorici. Il cervo - famoso per la sua agilità, la circospezione e l'acutezza dei sensi - è l'animale edenico per eccellenza ma è anche il simbolo della tragica impotenza dell'uomo rispetto al fato nel mito di Atteone. All'albero, nella vastissima simbologia cristiana e delle civiltà più antiche, è strettamente le­gata la fonte della vita fisica e spirituale. Ed è la vita nei valori più profondi che Nino Piazza esprime nelle sue opere dense di concetti, mai banali, stimolanti perché ci costringono a riflet­tere per capirne il senso più autentico. Quel cervo accucciato dal collo lungo e sottile e dalle corna leggere come un arabesco va ben oltre la sua vitale bellezza estetica ed è il simbolo di una acuta vigilanza, di un pensiero penetrante, che diventa riflessione interiore, ricerca di se stessi, nella testa di un uomo - “Sul fondo” -che si specchia nel vetro posto nella base del supporto.

Ma quale significato ha l'essere umano nella società attuale in cui l'apparire ha preso la pre­valenza sull'essere? Talvolta è proprio l'assen­za che ci rivela l'importanza di una presenza:

abbiamo occhi che si riempiono di tutto e non vedono nulla: ed ecco l'immagine ritagliarsi in un vuoto che improvvisamente ci frastorna per questa “assenza” diventata “presenza”, perché fa affiorare l'intrigante labirinto della memoria, la poesia delle cose che possono riproporsi in modo diverso e trasformarsi come la “Sedia del poeta”, oggetto povero che qui ha perso la sua funzione d'uso quotidiano per diventare me­tafora di una nuova identità costruita su una fragile base di vetro. Ma c'è anche una poesia della natura che incanta chi ha la sensibilità di coglierla e Piazza la cristallizza nell'attimo su­premo in cui l'allodola, soave annunciatrice del mattino, canta al cielo sulla cima di un allampa­nato, casto cipresso.

Nei dipinti la superficie è quasi sempre scandi­ta da rilievi che assumono le sembianze di albe­ri, animali, paesaggi, architetture che danno più consistenza alla visione. Tracce che percorrono liberamente un'atmosfera densa di sensazioni inconsce, primordiali. Le stesse figure sono archetipi che ci portiamo dentro da sempre come quella linea che talvolta solca orizzontalmente la scena e che apparentemente sembra segnare un confine. Una linea il cui significato mi si è rivelato chiaramente andando a visitare lo stu­dio dell'artista a Torrechiara, nel raccolto borgo medievale agganciato come una pittoresca ap­pendice al turrito castello di Pier Maria Rossi:

è bastato guardare fuori dalla piccola finestra e scorgere al di là della biancheggiante scia della Parma il profilo delle colline.

Le colline hanno un respiro lento, rassicuran­te. Non ci schiacciano come le montagne ne ci stordiscono come l'orizzonte sconfinato del mare; nutrono i nostri sogni della certezza del­la speranza; ci trasmettono serenità e sicurezza nelle nostre radici ambientali e culturali e nel contempo ci dicono che al di là del loro profilo ondulato c'è un vasto mondo da percorrere con la fantasia e da scoprire in termini reali.

D'altra parte non è una collina quella che ha ispirato a Leopardi quella straordinaria poesia che è L’Infinito con quel colle che chiude una parte dell'orizzonte e fa sì che il poeta col pensiero possa mirare interminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete? Anche Nino Piazza guarda con interesse quei misteriosi spazi che esistono oltre la linea di un confine fisico ed anche psi­chico e li esplora e li ricrea con colta intelligen­za ma soprattutto col cuore e con quella acuta sensibilità che vibra in tutte le sue opere.

 

di Pier Paolo Mendogni

da Visitazione, catalogo della mostra, Montechiarugolo, Palazzo Civico, 24 marzo – 1 maggio 2007.